Avevo 46 anni quando, dopo un periodo di forte stress fisico e psichico, mi fu diagnosticata una gammopatia monoclonale.
Purtroppo sottovalutai la situazione e, invece di farmi seguire da un centro specializzato, non eseguii regolari controlli né modificai il mio stile di vita stressante.
Undici anni dopo le cose cambiarono. Accusavo dolori alla schiena e al torace ma continuavo a cercare soluzioni senza indagarne a fondo la causa. Dopo una caduta in bicicletta, però, il dolore divenne insopportabile: mi venne suggerita una radiografia, che eseguii. Da lì, la diagnosi di mieloma multiplo a uno stadio abbastanza avanzato.
Non avevo idea di cosa fosse questa malattia, non conoscevo parenti e amici che avessero avuto questo problema ed ero completamente ignorante in campo medico. Mi sentii crollare il mondo addosso: pensavo che sarei morta a breve, pensavo a mio figlio, ero terrorizzata dall’idea della chemioterapia… Così cominciai a informarmi sui vari centri specialistici. Per fortuna avevo un vecchio amico medico ematologo, che però non si occupava di mieloma. Mi consigliò di rivolgermi al reparto di ematologia di un centro specializzato nel trattamento del mieloma multiplo, dove c’era un ottimo clinico che si occupava proprio di questa patologia. Lo incontrai: quel colloquio lo ricordo ancora perfettamente. Ricordo anche la mia angoscia: il medico fu molto chiaro, anche se ovviamente non entrò nei dettagli - che peraltro non avrei neanche capito. Con ottimismo ma senza illusioni l’ematologo mi parlò di mieloma come una malattia cronica ma che poteva essere trattata con una terapia adeguata.
Io, ingenuamente, avrei voluto risposte precise sui tempi di guarigione che però realisticamente non mi furono date. Ricevetti invece il programma di una cura sperimentale, che accettai, che mi condusse al primo autotrapianto e poi, dopo quattro anni, al secondo. Non voglio però addentrarmi nel descrivere tutto il percorso medico, durante il quale la prima importante difficoltà fu quella di dover accettare di passare da una condizione di salute e di efficienza fisica a quella di malattia. Questo mi spinse a imparare ad accettare il limite e mi tolse l’illusione di onnipotenza. A pensarci adesso, in questa fase un valido supporto psicologico sarebbe stato utile.
In quel periodo cercavo informazioni sulla malattia su qualche sito serio e qualificato: non potevo pretendere che durante i controlli di routine si facessero lezioni di ematologia, considerando la complessità del problema! Molto utili furono gli incontri Medici e pazienti assieme contro il mieloma organizzati dal mio ematologo per informare pazienti e parenti sui vari aspetti della malattia, oltre che per offrire l’opportunità di sollevare dubbi e porre domande ai medici presenti nel corso di una giornata intera. Insomma, con più tempo a disposizione rispetto a quello delle visite di controllo. Oggi ho completamente abbandonato le mie ricerche su Internet: mi angosciavano, più che aiutarmi. Mi sono invece affidata ai medici in cui avevo riposto la mia fiducia e ho sperato nella scienza. Ho anche imparato a evitare di parlare della malattia con chiunque, specie con alcuni altri pazienti che temevo mi trasmettessero solo negatività.
Complessivamente sono felice del mio percorso: certo, ho sentito la mancanza di qualche consiglio sull’alimentazione e sullo stile di vita, temi che forse sono considerati secondari data la complessità della malattia e delle cure. A chi si ammala oggi consiglio di scegliere un centro di eccellenza e di affidarsi. Oggi ho 71 anni, sto bene e conduco una vita normale. Anzi, sono ancora piuttosto attiva per la mia età!
Antonia*
*nome di fantasia
NP-IT-MMU-WCNT-240004 - 10-09-2024